Se tutto è falso, fino a prova contraria

federico badaloni
3 min readMay 2, 2024

“L’ha detto la radio!”, diceva mia nonna Bruna, buonanima. Ricordava bene quella notte in cui la prima radio era arrivata a Cittadella, il suo paese natale. Il papà le aveva detto di indossare il suo vestitino più bello, l’aveva presa per mano ed erano andati a sedersi al tavolino di un bar, in piazza. Da sotto un portico qualcuno aveva spinto fuori una grande cassa di legno, aveva girato qualche manopola e s’era compiuto il miracolo. Tutto il paese era lì sul selciato, quella notte, mentre un’aria d’opera si perdeva fra le stelle. Poi era arrivato il regime. E col regime, la guerra. Allora Bruna aveva imparato che la radio poteva mentire. Ma la versione della radio era comunque quella buona per tutti: anche se eri convinto che mentisse, spettava a te, semmai, produrne la prova.

Quando arrivò la televisione mia nonna per un po’ continuò a dire “l’ha detto la televisione”. Poi, negli anni Novanta, un giorno lo dissi io. “Nonna, l’ha detto la televisione!”. Lei mi rispose sorniona: “Quale?”. Erano già arrivate le televisioni private e c’erano una ventina di canali a portata di telecomando. Cominciava a farsi strada la percezione che non fosse più così vero “per definizione”, ciò che veniva detto dai mass-media.

Negli anni successivi i canali televisivi e quelli radiofonici si sono moltiplicati. Poi è arrivato il web e ognuno di noi ha potuto avere il proprio canale. Pochi anni dopo sono arrivati i social media e di canali ne abbiamo avuti a decine. Oggi possiamo pubblicare testi, video e foto. Possiamo riprendere una scena, o noi stessi, ed “andare in onda” in diretta mondiale. Gratis. Attraverso il telefono possiamo seguire tutti i canali che vogliamo, cioè tutte le persone che vogliamo. Se tutte le persone del mondo possono dire e diffondere ciò che vogliono, allora navigare sul web o nei social media è come farsi un giro in una piazza il giorno del mercato. Una piazza immensa. Pensiamo che tutto quello che ascoltiamo in piazza sia “vero”? Sia “attendibile”?

Ho scoperto che mia figlia Julie, nata all’inizio di questo secolo, è ben consapevole di tutto questo, sebbene non ne abbiamo mai parlato. E ha preso le sue contromisure: ieri mi ha detto che lei e le sue amiche per vivere serene partono dal presupposto che tutto ciò che leggono o vedono attraverso il telefono sia falso, fino a prova contraria. Esattamente il postulato opposto a quello che seguiva mia nonna, cento anni prima, alla sua età. Julie si fida solo di chi fornisce le prove di ciò che dice e quindi si aspetta che tutti quelli che pubblicano qualcosa, se vogliono essere creduti, lo facciano. Logico e semplice.

Per i professionisti della comunicazione la sfida che questo nuovo modo di pensare pone deve obbligare a un cambio di passo. Soprattutto per i giornalisti. Perché significa che non possono più contare sul fatto di essere creduti in virtù del prestigio della testata che ospita i loro articoli, ma devono conquistare la fiducia del lettore (o dello spettatore) ad ogni nuovo contenuto pubblicato. E devono comunicare sapendo che la propria voce si mescola a quella di tutte le persone del mondo nella piazza globale. Non c’è più un silenzio attonito ad accogliere le loro parole, come nella notte stellata di Cittadella.

Ma il giornalismo si distingue perché si basa da sempre su una promessa fatta al lettore: “verificherò ogni informazione che ti darò”. È venuto il momento di tirare fuori le prove di questa verifica, di pubblicarle regolarmente. Se vuole sopravvivere, il giornalismo deve accettare l’idea di essere misurato sulle fonti utilizzate e sui processi di verifica adottati. E tutti noi abbiamo bisogno che sopravviva, perché concorre in modo fondamentale a mantenere democratico il nostro sistema politico. Prima del digitale pubblicare tutte le fonti e i documenti utilizzati per verificare ogni notizia era impossibile per mancanza di tempo o di spazio, ma oggi questo non è più vero: in un sito o in un social media ci possono essere infinite pagine e ognuna di esse può essere lunga a piacere. Come cittadini di un mondo sempre più complesso e interconnesso, abbiamo un disperato bisogno di informazioni vere e dobbiamo costruire insieme “luoghi di verità” sulla base di regole condivise. Ciò che possiamo e dobbiamo fare per costruirli è pretendere che il giornalismo tenga fede alla sua promessa e che lo faccia sfruttando le nuove possibilità che il digitale gli offre.

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